Smart Working effetti sullo stress, come prevenire il burnout

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Di smart working, o lavoro agile, si iniziava a parlare già negli anni ‘70 quando lo scienziato americano Jack Nilles ne formulò una prima ipotesi, utilizzando però il termine “working remotely“. Negli anni seguenti tale modalità si diffuse rimanendo però circoscritta ad una fascia molto ristretta di lavoratori.

Tutto questo fino al 2020 quando a causa della pandemia e dei conseguenti lockdown ci siamo improvvisamente e inaspettatamente ritrovati a dover modificare le nostre abitudini, i nostri ritmi e a rielaborare la nostra concezione della parola “lavoro”. Per molti è stato difficile, impreparati nel dover prendere confidenza con metodo e strumenti a noi estranei scoprendone al contempo pro e contro.

Infatti se da un lato introversi e pendolari hanno apprezzato il rallentamento dei ritmi, il non dover aspettare ore alla fermata del treno nelle fredde mattinate, o i genitori di famiglia che hanno potuto passare più tempo con i loro figli, nel rovescio della medaglia le persone con cui si condivideva casa, potevano diventare invadenti, non rispettando gli spazi dedicati al lavoro, o di contro vivendo da soli si è sperimentata e sofferta un’alienante assenza di contatti sociali.

Tra i lati negativi inoltre si è riscontrato un aumento dello stress, secondo un’indagine di linkedin il 46% dei lavoratori infatti non solo ha lavorato di più ma si è sentito più stressato.

Privando il lavoro di un suo spazio fisico infatti è venuta a mancare quella separazione mentale tra lavoro e casa che ci permette di prendere una pausa, una volta fuori dall’ufficio, dai problemi e dalle preoccupazioni lavorative.

Lavorando da casa la routine mattutina è scomparsa e così  accendiamo il pc e iniziamo a lavorare magari ancor prima di aver fatto colazione, e durante la pausa pranzo o la sera dopo l’orario di lavoro magari ci sentiamo in obbligo di controllare le mail che il capo continua a mandare.

Questo aumento dello stress però può diventare pericoloso, se persistente nel tempo infatti può sfociare in burnout.

Ma cos’è il burnout?

Nel 2019 l’International Classification of Disease (ICD) lo classifica come effettiva sindrome legata al contesto lavorativo.

Dall’inglese burn, bruciato, è un crollo emotivo psico-fisico derivato da uno stress cronico non saputo gestire e riscontrato soprattutto nei lavoratori con intensa attività relazionale o di espressione creativa.

Si manifesta con sensazioni insoddisfazione, insofferenza, con conseguente tendenza all’isolamento, logoramento, demoralizzazione, passività, che possono portare alla depressione, crisi di panico, ansia generalizzata e altro ancora.

Cosa fare quindi se riconosciamo questi sintomi? La prima e più importante cosa è rivolgersi ad uno psicologo professionista.

Come si può prevenire?

Innanzitutto rispettando i propri bisogni, dal sonno, al cibo all’attività fisica: gestire la divisione tra tempo da dedicare al lavoro e tempo da dedicare a se stessi e ai propri interessi e mantenere uno stile di vita salutare.

Non aspettarsi troppo da se stessi, avere obiettivi è una cosa bella ma facciamo attenzione a non fissare degli obiettivi che non saremo in grado di raggiungere, evitando anche i sovraccarichi di lavoro, definendo priorità e scadenze e se possibile delegando.

Mantenersi in buoni rapporti con colleghi, superiori e subalterni aiuta a evitare l’insorgere dei primi sintomi del burnout.

Che ne apprezziate i lati positivi o manteniate sotto controllo quelli negativi lo smart working è entrato ormai di diritto nelle nostre vite e vi rimarrà.

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